Cinque anni fa, al congresso di Identità Golose, il Wood*ing food lab di Monza si è presentato al mondo dell’alta gastronomia con un piatto shock. Titolo: Studio alimentare di un mollusco bivalve invasivo. Svolgimento: vongole d’acqua dolce Sinanodonta woodiana arrivate dalla Cina insieme ai materiali da pesca – che stanno soffocando l’habitat dei nostri laghi – essiccate, affumicate e servite su un fondo di latte vegetale fermentato insieme ai germogli della Reynoutria japonica, una pianta ornamentale giapponese a rapida diffusione che si sta letteralmente «mangiando» la vegetazione che la circonda perchè appartenente alla categoria di specie selvatiche invasive. Dopo lo sgomento iniziale, la ricetta ha ottenuto il plauso anche dei più scettici, consentendo così a Valeria Mosca – fondatrice di Wood*ing, appunto, laboratorio di ricerca sul foraging e sul cibo selvatico – di introdurre anche nell’universo gourmand «il linguaggio semplice della cucina per veicolare temi come sostenibilità, cooperazione con l’ambiente, conoscenza e tutela della biodiversità».
Cresciuta nella Brianza, la più nota forager italiana ha avuto il «dono» di una nonna materna amatissima che raccoglieva erbe selvatiche nella Val Zebrù. «Da bambina, era normale che mi chiedesse di andare in giardino a prenderle – che so – le gemme di abete, o le radici della barba di becco». Si chiama trasmissione dei saperi. Di cui Valeria Mosca ha fatto tesoro quando, durante l’università (Beni culturali), ha scelto un indirizzo antropologico, «quindi connesso all’etnobotanica», per poi decidere di studiare anche le possibili applicazioni pratiche delle specie spontanee. «Mi sono presentata allo chef stellato Giancarlo Morelli e gli ho chiesto di prendermi in cucina. Lui, incredibilmente, ha detto di sì. Forse pensava che mi sarei stancata, invece sono rimasta tre anni. Vista la mia passione, mi ha spinta ad approfondire le ricerche e a iniziare a sperimentarle nei piatti».
Nel 2009 Valeria Mosca, 42 anni, ha fondato Wood*ing, primo food lab al mondo a occuparsi in modo scientifico di cibo selvatico in cucina. Un trionfo. «Sono stata fortunata, perché da lì a poco il foraging sarebbe diventato una tendenza condizionando anche il lifestyle, la moda, il tempo libero». E, ovviamente, l’alimentazione. Chef stellati come Norbert Niederkofler, uno dei molti con cui Valeria ha collaborato, «sono letteralmente impazziti per il cibo selvatico, perché permette di ottenere un ventaglio vastissimo di consistenze e di sapori nuovi». Il foraging, infatti, comprende una quantità infinita di ingredienti possibili. «Si va dall’altissima montagna – ricca di licheni, cortecce interne degli alberi, resine delle conifere, funghi – alla foresta alpina, con le piante del sottobosco, le radici, le foglie degli alberi. E ancora: dalla collina (fiori, erbe, semi, frutti, di nuovo radici, piante acquatiche) fino al mare, con le alghe e i molluschi». Perché la disciplina si concentra su tutte le specie che possono essere «raccolte e non cacciate» in ambienti incontaminati certificati.
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